Il caso dello stupro di gruppo di Palermo ne è l’ennesima prova.
Perché non hai denunciato?”, è una domanda che ancora viene posta alle donne che subiscono qualche forma di violenza. Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia il 31.5% delle donne ha vissuto una qualche forma di violenza fisica o sessuale, ma le denunce sono solo una piccola parte. In base agli ultimi dati dell’Agenzia dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, il 70% di donne italiane che hanno subito violenza non hanno denunciato. Perché? Perché così in poche si affidano alla giustizia? La risposta dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti e il caso dello stupro di gruppo di Palermo ne è l’ennesima prova.
motivi per cui le donne non denunciano sono vari e complessi. Denunciare significa, prima di tutto, riconoscere di aver vissuto una forma di violenza, significa ammetterlo a noi stesse e non è scontato. “Stupro è una parola che storicamente facciamo fatica a definire come responsabilità dell’uomo”, aveva spiegato tempo fa a Elle la Dottoressa Marta Baroncelli, Psicologa e Operatrice di Accoglienza del Centro Antiviolenza La Nara di Prato, “E infatti ancora oggi capita che in tribunale venga chiesto alle donne com’erano vestite. E poi, certo, porta un un dolore immenso. Riconoscere di essere stata vittima di stupro è un passo enorme che la donna fa secondo i suoi tempi”. Denunciare in un mondo permeato dalla cultura dello stupro significa affrontare, in un momento di estrema vulnerabilità, tutti gli stereotipi che colpiscono le survivor: “L’hai provocato?”, “Eh, ma era una ragazza facile”, “Eri ubriaca?”, “Sei sicura di aver detto no?”, “Stai esagerando”. Per non parlare delle sentenze che assolvono gli aggressori perché la donna “era troppo brutta” o “non ha urlato forte”.
A tutto ciò si aggiunge la gogna mediatica, quella che stiamo osservando in questi giorni sul caso dello stupro di gruppo di Palermo. La diciannovenne che ha denunciato i sette ragazzi che l’hanno aggredita, picchiata e violentata, non solo è stata minacciata dai suoi aggressori di subire ripercussioni per aver parlato, ma ha visto le immagini di quella notte riprese dalle telecamere di sorveglianza venire diffuse ovunque sul web. Lo stesso vale per le chat agghiaccianti degli aggressori, riprese sui social senza pensare alle conseguenze in una sorta di pornografia del dolore. Centinaia di uomini si sono riversati sui gruppi Telegram per cercare di recuperare il video del suo stupro e, nei giorni scorsi, è stato persino diffuso il suo nome e tag su Instagram e TikTok violando la sua privacy con l’ennesima violenza. Chi vorrebbe mai affrontare tutto questo? Chi, dopo aver vissuto uno stupro, può sentirsi in grado di affrontare ulteriore violenza? Questa è la domanda che dovremmo farci