A stare peggio sono le donne.
Ogni anno nei 190 istituti penitenziari italiani transitano circa 100mila detenuti.
Circa il 70% di loro ha una malattia cronica (o anche più di una), ma poco meno della metà ne è consapevole. I dati ufficiali del Ministero della Giustizia indicano che oltre il 50% dei soggetti ha meno di quarant’anni e che un detenuto su tre è straniero. E le carceri si confermano un concentrato di malattie infettive, psichiatriche, metaboliche, cardiovascolari e respiratorie.
Di questo tema si parla a Roma, giovedì 4 e venerdì 5 ottobre, al Congresso nazionale della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe onlus), organizzato insieme alla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT). Tra gli argomenti “caldi” la vaccinazione delle persone detenute, integrazione e tutela delle fragilità sanitarie e sociali in carcere, il dolore e la salute mentale in ambito penitenziario, eradicazione del virus dell’epatite C nelle sezioni detentive, esperienze di gestione dei detenuti migranti.
Epatite C, la più diffusa
«Tra le malattie infettive, il virus dell’epatite C (Hcv) è quello più rappresentato, soprattutto a causa del fenomeno della tossicodipendenza – spiega Sergio Babudieri, presidente del Congresso e direttore scientifico SIMSPe onlus -. Un terzo dei detenuti (34%) è detenuto per spaccio di stupefacenti, il che li rende più soggetti a malattie infettive. Dal 30% al 38% dei carcerati ha gli anticorpi del virus dell’epatite C, ma di questi solo il 70% ha il virus attivo. Dai 25 ai 30mila detenuti, quindi uno su tre, avrebbero bisogno di essere trattati con i nuovi farmaci altamente attivi contro il virus C dell’epatite».
Hiv e tubercolosi
Numeri migliori, ma non rassicuranti, per quanto riguarda l’Hiv: la patologia è in diminuzione, ma non riguarda più esclusivamente le categorie a rischio. Oggi si parla del 3/3,5% di sieropositivi nelle carceri, ma è difficile arrivare a nuove diagnosi. I malati di epatite B, invece, sono il 5-6% del totale. Oltre la metà dei detenuti stranieri è invece positivo ai test per la tubercolosi. «Quando parliamo di migranti dobbiamo ricordarci che si tratta di persone che, per più o meno ovvie ragioni, tendono a non curarsi e a non poter approfondire la propria questione sanitaria – dice Babudieri -.
In aumento per loro è soprattutto la tubercolosi, con la possibilità di far crescere la circolazione di ceppi multiresistenti ai farmaci. Un ulteriore problema è intrinseco alla malattia, per sua natura subdola e non facilmente diagnosticabile, perché il peggioramento è lento e graduale.
Ci vorrebbe una maggiore attenzione proprio a partire dai centri migranti, dove spesso ci sono controlli sanitari non adeguati».
La situazione delle donne
Le donne sono circa il 4% della popolazione carceraria. I reati più perseguiti da loro sono quelli contro il patrimonio, contro la persona e in materia di stupefacenti. Ma sono molto frequenti anche i reati di prostituzione.
Si contano poi una sessantina di bambini, da pochi mesi a 6 anni, figli di madri che hanno subito un arresto o una condanna. «Da recenti studi internazionali – spiega Babudieri – emerge che le donne detenute hanno una percentuale di malattie infettive superiore di alcuni punti percentuali rispetto agli uomini.
Una “elite in negativo” in cui si concentrano non solo malattie infettive, ma anche psichiatriche, cardio-respiratorie, metaboliche e degenerative. Eppure occorrerebbe un piccolo sforzo per garantire a loro, e agli eventuali minori, ottimi risultati. Ma, data l’età media della popolazione totale, si potrebbe raggiungere uno stato di salute nettamente superiore per tutti».
Programma di vaccinazione«I responsabili dell’assistenza sanitaria in carcere sono i sistemi sanitari regionali – aggiunge Babudieri – .
A loro spetterebbe il compito di creare un ponte tra i medici delle carceri e i medici dell’igiene e della prevenzione territoriale. Il responsabile di ogni struttura penitenziaria dovrebbe correlarsi con i responsabili della Sanità pubblica per la realizzazione di un programma di vaccinazione totale. In questo modo tutte le persone detenute saranno sotto controllo, garantendo non solo la loro sicurezza, ma anche quella di chi starà loro accanto, dentro e fuori le strutture penitenziarie. Non è mai stato fatto un registro nazionale per nessuna patologia, non c’è mai stato un coordinamento nazionale.
Da anni la nostra Società ha proposto di affidare all’Istituto Superiore di Sanità la gestione di un Osservatorio nazionale per la tutela della salute in carcere che coordini tutti gli osservatori regionali già costituiti, ma questa nostra richiesta è stata costantemente disattesa».
CONGRESSO A ROMA 2018
Fonte: Corriere della sera