Donne e carcere

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO

Ufficio Studi Ricerche

Nelle nostre carceri oltre il 95% dei detenuti sono maschi e il numero delle donne è poco inferiore al 5%. Gli istituti penitenziari destinati in modo esclusivo alle donne sono cinque (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli, Venezia Giudecca) e per il resto le donne sono collocate in 52 reparti isolati all’interno di penitenziari maschili. Quindi le donne vivono prevalentemente una realtà che è pensata e realizzata nelle strutture e nelle regole per gli uomini mentre i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi. In molti casi esse sono ristrette in carceri che si trovano lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento con i quali i contatti sono difficili e onerosi La detenzione di coloro che sono in attesa di giudizio è molto meno tutelata dal punto di vista del trattamento.

Differenziare detenuti definitivi da quelli in attesa di giudizio è già difficile, differenziare ulteriormente all’interno di queste categorie tra uomini e donne è quasi impossibile, così le donne detenute definitive e non, si trovano sempre assieme. Le donne mediamente hanno condanne più brevi di quelle degli uomini e hanno minori probabilità di avere qualcuno cui affidare la casa e la famiglia.

Così anche una breve condanna per una donna arreca danni e conseguenze a lungo termine. Se le pene detentive brevi come punizione in generale non possono dirsi efficaci, esse lo sono ancora meno per le donne. Molto più efficace in alternativa al carcere, sarebbero misure di probation e di giustizia ripartiva, diffuse in altri Paesi. Concordare il modo migliore per riparare il danno e reintegrare le donne nella società vuol dire sostenere i loro figli, con risultati in termini di abbattimento di recidiva, e con l’ulteriore effetto di ridurre la possibilità che i figli diventino a loro volta delinquenti .

Regole sovranazionali per le condizioni detentive delle donne

Le Regole penitenziarie europee del 2006 (regola 18.8b) affermano che deve essere dato rilievo alla necessità di tenere separati uomini e donne. Le Regole Minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite [1] adottate quasi 70 anni fa e al momento soggette ad un processo di revisione, affermano (regola 8) che “uomini e donne, per quanto possibile, devono essere ristretti in istituti separati, o in sezioni completamente separate dello stesso istituto”, ma non prestano particolare attenzione a come si possa ovviare alle pratiche discriminatorie che di fatto impediscono alle donne di beneficiare di tutte le disposizioni che possono rendere più accettabile il regime carcerario.

Il 21 dicembre 2010, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite[2] ha adottato un nuovo testo di disposizioni volte a colmare una lacuna negli standard internazionali riguardanti le esigenze specifiche delle donne in conflitto con la legge penale. Sono le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute e le misure non detentive per le donne autrici di reati, note come le “Regole di Bangkok” a riconoscimento del ruolo determinante svolto dal Regno di Tailandia nella loro elaborazione. Seppure sprovviste di efficacia vincolante, le 70 Regole di Bangkok fanno parte dell’ampia raccolta di principi e linee guida, standard e norme, sviluppate dalle Nazioni Unite nel corso di più di 50 anni. L’Ufficio Studi del DAP ha provveduto a tradurne il testo e a diffonderlo. Esse sono divise in due sezioni, una contenente le disposizioni di applicazione generale e l’altra le regole dedicate a categorie speciali quali le madri, le straniere, le giovani.

interessante sottolineare che nella parte relativa alla valutazione del rischio le Regole considerano che generalmente le detenute presentano una pericolosità relativamente debole e che le misure di alta sicurezza su di loro hanno un effetto particolarmente negativo.

La regola n. l fissa il principio di individualizzazione del trattamento (“bisogna tenere conto delle esigenze peculiari delle donne detenute per l’attuazione delle presenti regole. Le misure adottate per soddisfare tali necessità non devono essere considerate discriminatorie”). E’ necessario prendere in considerazione le esigenze diverse delle donne rispetto a quelle degli uomini: l’attenzione a queste esigenze non è discriminatoria “il concetto di eguaglianza significa ben più che trattare tutte le persone allo stesso modo. Il trattamento uguale di persone in situazioni diseguali contribuirà a perpetuare l’ingiustizia e non a eradicarla”. Proprio perché le donne costituiscono una minoranza nell’ambito penitenziario i loro bisogni specifici sono spesso disattesi.

Tradizionalmente le carceri sono progettate e costruite da uomini per contenere uomini, quindi secondo un modello che mal si adatta alle necessità emotive, familiari, sociali e sanitarie femminili. In molti paesi le donne sono ospitate in sezioni sommariamente separate dalle sezioni maschili, per evitare situazioni di promiscuità ad esse è negato l’accesso alle strutture comuni per le attività sportive, lavorative e formative.

Spesso sono ristrette in carceri che si trovano molto lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento, rendendosi così difficili e onerosi i contatti con le loro famiglie. Le detenute sono spesso madri. La lontananza dai figli aggiunge sofferenza alla pena detentiva mentre i locali per le visite raramente offrono uno spazio adatto per ritrovare la vicinanza tra madre e figlio. In genere, la mancanza di affetti e i ritmi del carcere sono più difficili da accettare per le donne che per gli uomini e ciò si traduce in un numero maggiore di suicidi e di atti di autolesionismo. Uno degli aspetti su cui le Regole di Bangkok mettono più l’accento è l’incidenza dei casi di abuso sessuale e di violenza, anche familiare, delle detenute. Grande attenzione viene dedicata alla necessità di evitare il ripetersi di questo tipo di traumi, introducendo protocolli adeguati nelle relazioni tra le detenute e lo staff, soprattutto maschile, e cautele in materia di colloqui se la violenza può essere di carattere familiare. Le Regole di Bangkok dedicano molto spazio alle specifiche necessità delle donne in materia di salute ginecologica (PAP TEST, screening per il seno…), psicologica, psichiatrica, etc… e raccomandano la possibilità d’accesso a cure equivalenti a quelle disponibili all’esterno.

Le Regole di Bangkok sono il primo testo normativo internazionale che si occupa dei bambini che si trovano in carcere con le loro madri, estendendo ad essi il diritto ad una assistenza sanitaria adeguata. Ampio spazio è dedicato alle cure prenatali, all’allattamento al seno e alla difficile decisione sul se e fino a quando lasciare il bambino con la madre, nonché a come preparare la separazione nel modo meno traumatico possibile, sempre rispettando l ‘interesse superiore del minore. Sono molto interessanti le Regole 68, 69 e 70 che riguardano la promozione di lavori di ricerca sul numero di minori la cui madre è detenuta e sull’impatto che questa situazione ha su di essi, allo scopo di contribuire alla formulazione delle politiche e programmi che tengano conto dell’interesse superiore dei bambini e al fine di promuovere il reinserimento sociale delle donne autrici di reato e conseguentemente ridurre l’impatto negativo su di essi. Alcune disposizioni sono dedicate alle detenute straniere con particolare riferimento alle politiche di trasferimento dei detenuti nel loro paese di origine e di rimpatrio dei figli.

Nelle Regole di Bangkok troviamo anche un importante capitolo sul personale penitenziario il cui ruolo nell’assistenza delle donne detenute nel loro percorso di reinserimento è più volte sottolineato. La formazione professionale specifica diventa lo strumento principale affinché il personale, a tutti i livelli, possa mettere in atto le misure necessarie a soddisfare le esigenze specifiche di genere e a rimuovere le pratiche discriminatorie contro le donne. Importante la parte delle Regole dedicata alle sanzioni non detentive. Tutela delle detenute madri con i figli in carcere La legge 21 aprile 2011, n. 62 tutela il rapporto tra i minori e le madri che si trovano in stato di privazione della libertà personale. Secondo la legge le detenute madri (o i detenuti, in mancanza o nell’impossibilità delle madri) devono essere collocate negli istituti a custodia attenuata, ICAM (sul modello di quello che nacque a Milano nel 2007), che hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto alle carceri tradizionali e ispirate a quelle di una casa di civile abitazione. In queste strutture è attuato un regime penitenziario di tipo familiare-comunitario incentrato sulla responsabilizzazione del ruolo genitoriale in modo da dare un’adeguata garanzia alla genitorialità e assicurare la crescita armoniosa e senza traumi dei minori.

Sono in procinto di aprire nuovi ICAM in Piemonte, Toscana, Lazio e Campania, mentre è già operativo, oltre a quello di Milano, l’ICAM del Veneto (Venezia-Giudecca, per 12 posti) ed è stato di recente inaugurato quello della Sardegna (Senorbì). La stessa legge per le donne incinte o con prole di età inferiore ai dieci anni, prevede che le pene detentive non superiori a quattro anni, anche se costituenti parte residua di maggior pena, siano espiate in regime di detenzione domiciliare presso la propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora o presso la nuova figura della casa-famiglia protetta. Queste strutture agevolano l’accesso alla misura cautelare degli arresti domiciliari e alla misura alternativa della detenzione domiciliare e in questo senso rappresentano uno snodo essenziale per l’attuazione delle finalità della predetta legge. Il Ministro della Giustizia, come previsto dall’art. 4 comma 1 della legge, sulla base di un’intesa con la Conferenza Stato-Città ed Autonomie Locali, con decreto 8 marzo 2013 ha individuato le caratteristiche tipologiche delle “case-famiglia protette”. Esse, tra l’altro, debbono essere collocate in località vicine ai servizi territoriali, devono consentire un modello di vita comunitario, devono avere spazi interni da poter utilizzare per i colloqui con operatori e familiari e per effettuare eventuali visite mediche, devono prevedere servizi igienici e camere riservate agli uomini. La legge ha previsto che lo stesso Ministro della giustizia possa stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma mentre prevede una provvista finanziaria su specifici capitoli di bilancio per la realizzazione degli istituti a custodia attenuata ICAM, per quanto riguarda le case-famiglia protette non vi è alcuna previsione di investimento. Al fine di consentire l’attuazione della legge alcune Associazioni in varie Regioni del territorio nazionale si sono attivate per mettere a disposizione strutture aventi i requisiti previsti. Deve essere segnalato in modo particolare il Progetto Nazionale di Accoglienza delle Donne detenute con figli predisposto dalla Caritas italiana insieme ai Centri diocesani Migrantes e all’Ispettorato dei Cappellani delle carceri italiane che assicura una rete di strutture di accoglienza disponibili su tutto il territorio nazionale e cura con grande impegno un piano di intervento che, tenendo conto della posizione giuridica delle detenute madri, predispone percorsi personalizzati in grado di garantire il reinserimento nella società. La presenza di detenute madri con prole al seguito che negli ultimi anni è sempre oscillata tra le 60 e le 40 unità è considerevolmente diminuita e il 7 gennaio 2015 le detenute madri erano 26 e i minori 27.

Detenute madri con i figli fuori dal carcere Il legislatore tutela, come si è detto, i bambini fino a tre o dieci anni d’età che vivono in carcere con la madre. Ma in realtà sono ancora numerose le madri detenute che non vedono mai i loro figli o li vedono saltuariamente durante le ore di colloquio. La legge n°54 del 08/02/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” ha introdotto il principio della bigenitorialità, inteso come diritto del minore a mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori anche dopo la cessazione della loro convivenza.

Il decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, entrato in vigore lo scorso 7 febbraio, ha disposto una revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e all’art. 55 ribadisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori di ricevere cura educazione istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. La convivenza cessa non soltanto in caso di separazione ma anche in caso di detenzione di uno dei due genitori e anche in questa situazione i figli mantengono il diritto alle relazioni con entrambi i genitori e non devono essere discriminati.

Non sempre la genitorialità del detenuto è salvaguardata pienamente e ancora si è portati a ritenere, con troppa superficialità, che colui che si trova in carcere possa non essere in grado di occuparsi dei propri figli. Per tutelare i bambini e gli adolescenti che vivono la condizione di avere padre, madre o entrambi i genitori in carcere, il 21 marzo 2014 è stata sottoscritta dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e dall’Associazione

Bambinisenzasbarre la Carta dei figli dei genitori detenuti, documento unico in Europa, che afferma i diritti fondamentali del minore il cui genitore sia recluso (oltre 100.000 in Italia). La Carta impegna il sistema penitenziario all’accoglienza dei minori e istituisce un Tavolo permanente per il monitoraggio sull’attuazione dei suoi principi.

Tra i punti fondamentali è sancito che di fronte all’arresto di uno o di entrambi i genitori, il mantenimento della relazione familiare costituisce un diritto del bambino, al quale va garantita la continuità di un legame affettivo fondante la sua stessa identità e un dovere/diritto del genitore di mantenere la responsabilità e continuità del proprio stato. La preservazione dei vincoli familiari svolge un ruolo importante per il genitore detenuto anche nella sua reintegrazione sociale e nella prevenzione della recidiva. L’impegno per l’Amministrazione penitenziaria è quello di creare un ambiente che accolga adeguatamente i bambini trovando il giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i necessari contatti familiari e grande rilevanza è data alla formazione del personale che sappia accogliere i bambini e i loro familiari.

Nel recente passato si è dato corso alla sperimentazione dell’uso di una scheda unica per acquisti al sopravitto e telefonate. Recentemente sono state date disposizioni agli istituti penitenziari affinchè i colloqui siano organizzati su sei giorni alla settimana, prevedendo almeno due pomeriggi ed è stata data la possibilità di cumulare le visite nel mese, qualora non siano state usufruite, e questo per favorire i minori che vanno a scuola. Anche l’eliminazione del bancone divisorio nelle sale colloqui, la realizzazione di spazi verdi, un sistema di visite su prenotazione, l’introduzione della tessera telefonica e l’utilizzo di skype (anche se non realizzati in tutti gli istituti) vanno sicuramente nella giusta direzione. Sono molti gli interventi che volontari e associazioni già realizzano in molti istituti italiani: accompagnano i bambini ai colloqui in carcere, rendono più brevi le attese e sostengono i bambini durante le perquisizioni, rendono più gradevoli i locali adibiti al colloquio; danno sostegno al genitore che si rifiuta di condurre il figlio in carcere a visitare il padre o la madre; aiutano ai bambini a mantenere rapporti costanti con il genitore detenuto; danno modo agli stranieri di mettersi in contatto telefonico con la propria famiglia in modo che chi ha problemi di fuso orario possa comunque interloquire con i figli lontani.

Attività trattamentali Le donne hanno una minore possibilità di accesso alle attività trattamentali. E’ una discriminazione involontaria dovuta al loro numero limitato e all’impossibilitàdi condividere con gli uomini le strutture. Alle donne sono però affidate molte lavorazioni d’eccellenza, anche se queste opportunità sono ancora destinate soltanto ad una parte di loro. Nell‘istituto di Bollate le sezioni femminili sono coinvolte nel lavoro di imprese di scenografia, cucina e catering, esperti di controllo qualità, giardinieri e laboratorio di cosmetici.

Vi è pure una sartoria per la realizzazione anche di abiti d’epoca; nel laboratorio si lavora su ordinazioni ricevute presso il negozio a Castello “Banco IO”, dove lavora la coordinatrice del progetto). Nella Casa Circondariale della Giudecca a Venezia lavora una lavanderia e l’azienda agricola con un orto, che misura 6000 metri quadri ed è provvisto di grandi serre; al suo interno si coltiva un po’ di tutto, compresi numerosi ortaggi regionali: i radicchi di Treviso, Verona e Castelfranco, il broccolo padovano e quello di Creazzo, il carciofo violetto di Sant’Erasmo.

Nell’orto c’è spazio anche per un oliveto, un frutteto, la zona per il compost, il tunnel con i semenzai e una sezione denominata “aromantica”, dedicata alle officinali e ai peperoncini. La produzione è abbondante e i frutti e gli ortaggi raccolti vengono venduti al mercatino che si tiene fuori dal carcere ogni giovedì mattina (Fondamenta delle Convertite, Giudecca 712). Quelli in eccedenza finiscono in borse assortite di verdure vendute e distribuite dai gruppi di acquisto solidale della zona, mentre le erbe aromatiche e medicinali vengono usate dal laboratorio di cosmetica per la preparazione di prodotti di bellezza e di cortesia richiesti da alcuni alberghi della laguna.

L’officina Creativa degli istituti di Lecce e Trani che produce e distribuisce borse, accessori e capi di abbigliamento realizzati con materiale di riciclo (in vendita anche presso il negozio Eataly di New York) e ha un’importante scuola di cucina. A S. Vittore a Milano vi è una sartoria che lavora tra l’altro anche le toghe per avvocati e magistrati riuscendo a spezzare il meccanismo giudiziario. Sono attuati anche il progetto “parole in libertà nel quale le donne scrivono un libro e il progetto flamenco nel quale le detenute gitane raccontano la loro esperienza nonché il giornale “Oltre gli occhi”.

A Vercelli la sartoria “Codice a sbarre” produce camici per i medici dei reparti di pediatria, abiti da lavoro, divise scolastiche e capi di abbigliamento commercializzati in numerose boutique. Nella Casa circondariale di Monza vi sono la produzione di assemblaggio giocattoli e la revisione merce con un punto vendita di elettrodomestici che sono stati revisionati dalle detenute come funzionanti ed integri anche se hanno le confezioni deteriorate. A Pozzuoli la produzione di caffè “Lazzarelle” ottenuto da una pregiata miscela di chicchi provenienti da Brasile, Costa Rica, Colombia, Guatemala, India, Uganda. A Rebibbia l’azienda agricola e la produzione di borse realizzate in pvc riciclato (ogni borsa è un pezzo unico); vi è pure il laboratorio di sartoria “Ricuciamo” che recentemente ha cucito un abito per Miss Italia.

A Torino nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno le detenute inventano accessori femminili con i materiali che normalmente vengono buttati o dimenticati , li lavorano come se fossero rari e preziosi . Il marchio è “Fumne” (donne in torinese) ha prodotto di recente anche un profumo. A Bologna la sartoria “Gomito a gomito” confeziona generi di abbigliamento e accessori. Nella sezione femminile della Casa circondariale di Benevento vi sono il laboratorio di oreficeria e le ceramiche. A Latina cappelli, sciarpe, borse sono realizzati dalle detenute. Nel carcere vi è pure un teatro come in tanti altri istituti.

Vita quotidiana C’è una sostanziale differenza di genere nel modo di vivere il carcere. Gli uomini hanno una maggiore capacità di adattarsi all’ambiente o di accettare la carcerazione come conseguenza di comportamenti devianti. Le donne subiscono con sofferenza il carcere e per esse il bisogno di aggregazione e socialità è molto più forte che per gli uomini e i loro rapporti interpersonali rispondono più a logiche di espressione di affettività, che a quelle di comparazione della forza, sia essa forza fisica o forza del prestigio criminale. Generalmente le donne considerano i reati che le hanno portate in carcere come incidenti di percorso e non scelte di vita consapevoli. Hanno un senso di vergogna e la preoccupazione per il dopo, legata non soltanto alla possibilità di reinserimento lavorativo, ma anche a quella di essere accettate in società e di poter tornare a vivere un’esistenza normale (esse spesso hanno avuto una vita normale e non hanno solide carriere criminali alle spalle).

Le celle e gli spazi individuali vengono curati dalle donne con attenzione particolare: le stanze sono ordinate e pulite, tenute meglio di quelle maschili; le donne tendono a riprodurre nella loro stanza l’ambiente familiare e i gesti consuetudinari compresa l’attenzione al proprio corpo. E’ stato diffuso dal DAP uno schema di Regolamento interno predisposto per le sezioni femminili che tiene conto delle peculiarità dell’esecuzione penale riguardante il genere femminile al fine di elaborare accorgimenti organizzativi e offerte riabilitative idonei a cogliere e valorizzare la specificità della popolazione detenuta femminile. In esso trovano particolare attenzione la dimensione affettiva, le specifiche necessità sanitarie, il diverso rapporto con le esigenze della propria fisicità, la necessità di offrire pari opportunità di reinserimento sociale e sono accresciuti i momenti di compresenza con i detenuti maschi (scuola e formazione in genere, iniziative culturali, ricreative e sportive, partecipazioni alle commissioni di rappresentanza previste dall’Ordinamento penitenziario, ecc.).

Nel Regolamento penitenziario della sezione femminile di Vercelli per esempio è previsto espressamente che la detenuta possa tenere con sé la fede, catenine, orecchini e oggetti di bigiotteria (di modico valore); creme depilatorie, deodoranti, creme, smalto, cosmetici, pinze per le ciglia, depilatore elettrico, extention, tinta per i capelli, crema lisciante per capelli crespi; lenti a contatto, ferri per lana con punta arrotondata, kit per cucito. All’atto dell’ingresso la detenuta riceve anche un kit per l’igiene personale tra cui assorbenti igienici. L’arredo della cella comprende uno specchio, infine sono disponibili una lavatrice e un servizio di parrucchiera. Tutela della salute delle donne detenute Le donne in carcere hanno esigenze di salute molto diverse rispetto agli uomini . La normativa di riordino della sanità penitenziaria prende in considerazione in modo specifico il tema della detenzione femminile. Il d.lgs. 230/1999 nell’art. 1, comma 2, lettere e) e f) stabilisce che il servizio sanitario nazionale assicura appropriate, efficaci ed essenziali prestazioni di prevenzione, diagnosi precoce e cura per le donne detenute e internate, l’assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità, nonché l’assistenza pediatrica e i servizi di puericultura per i figli delle recluse. Le “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale” allegate al D.P.C.M. 1.4.2008 dedicano attenzione alla detenzione femminile: l’allegato A contiene un apposito piano di interventi dedicato alla condizione detentiva femminile.

Pur costituendo una netta minoranza rispetto alla popolazione maschile, alle detenute si riconoscono specifiche e particolari esigenze legate ad una situazione sanitaria preoccupante. Tra le azioni programmatiche, si ricordano in particolare: • il monitoraggio dei bisogni assistenziali delle recluse con particolare riguardo ai controlli di carattere ostetrico-ginecologico • gli interventi di prevenzione e di profilassi delle malattie a trasmissione sessuale e dei tumori dell’apparato genitale femminile • corsi di informazione sulla salute per le detenute e le minorenni sottoposte a provvedimento penale e di formazione per il personale dedicato, che forniscano anche utili indicazioni sui servizi offerti dalla Azienda sanitaria al momento della dismissione dal carcere o dalle comunità (consultori, punti nascita, ambulatori ecc.) • potenziamento delle attività di preparazione al parto svolte dai Consultori familiari • espletamento del parto in ospedale o in altra struttura diversa dal luogo di reclusione • sostegno e accompagnamento al normale processo di sviluppo psico-fisico del neonato Problemi di salute mentale originano per le donne dal loro stato di detenzione e dallo stress per la necessità di essere lontane dai figli e una percentuale non trascurabile degli atti di autolesionismo è compiuta dalle donne.

I rappresentanti dell’Amministrazione che prendono parte al Tavolo di consultazione permanente per la sanità penitenziaria, hanno mandato di promuovere le azioni necessarie per perseguire gli obiettivi di salute previsti nel D.P.C.M.[3] La Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento autorizza negli istituti penitenziari del territorio nazionale lo svolgimento di iniziative di studio e di ricerca condotte soprattutto da Università, ma anche da Enti sanitari, quali l’Istituto Superiore di sanità, riguardanti le patologie presenti in ambito detentivo femminile. Roma, Luglio 2015 Il Direttore dell’Ufficio Roberta Palmisano [1] Adottate dal Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Delitto ed i l Trattamento dei Delinquenti , svoltosi a Ginevra nel 1955, e approvate dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite con le risoluzioni 663C (XXIV)del 31 luglio 1957 e 2076 (LXIl) del 13 maggio 1977. [2] Risoluzione 65/229, United Nations Rules for the Treatment of Women Prisoners and Non-cu stodia) Measures for Women Offenders (the Bangkok Rules). [3]Obiettivi di salute e Livelli essenziali di assistenza In accordo con il Piano sanitario nazionale sono, di seguito, indicati i principali obiettivi di salute che devono essere perseguiti, tenuto conto della specificità della condizione di reclusione e di privazione della libertà, attraverso l’azione complementare e coordinata di tutti i soggetti e le istituzioni che, a vario titolo, concorrono alla tutela della salute della popolazione ristretta negli istituti di pena: • promozione della salute, anche all’interno dei programmi di medicina preventiva e di educazione sanitaria, mirata all’assunzione di responsabilità attiva nei confronti della propria salute • promozione della salubrità degli ambienti e di condizioni di vita salutari, pur in considerazione delle esigenze detentive e limitative della libertà • prevenzione primaria, secondaria e terziaria, con progetti specifici per patologie e target differenziati di popolazione, in rapporto all’età, al genere e alle caratteristiche socio culturali, con riferimento anche alla popolazione degli immigrati • promozione dello sviluppo psico-fisico dei soggetti minorenni sottoposti a provvedimento penale, • riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio, attraverso l’individuazione dei fattori di rischio Fonte: Ministero della Giustizia di R.Palmisano

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Post