L. Zorloni Wired
Le 44 startup scelte dalla Nato per il futuro della difesa
Sicurezza energetica, telecomunicazioni da proteggere e sistemi di sorveglianza sono i campi in cui operano le società innovative selezionate dall’acceleratore di startup dell’Alleanza, Diana
Un’esercitazione della Nato con i droni
Un’esercitazione della Nato con i droniPATRICIA DE MELO MOREIRA/AFP VIA GETTY IMAGES
Mettere in sicurezza il fabbisogno energetico dei paesi Nato. Proteggere le telecomunicazioni. Adottare nuovi sistemi di sorveglianza. Sono questi i primi tre settori da cui provengono le 44 startup che l’Organizzazione dell’alleanza dell’Atlantico del nord ha scelto per il suo neonato acceleratore, Diana. Le imprese innovative hanno superato una selezione tra 1.300 proposte, giunte dopo il bando dello scorso 19 giugno. Per la Nato, l’esito di questo primo bando è un test decisivo per il piano varato nel 2021.
Perché attraverso Diana l’alleanza vuole intercettare imprese al lavoro su tecnologie dirompenti in campi che vanno dall’intelligenza artificiale al quantum computing, dalla sicurezza informatica alle biotecnologie, farle crescere in casa e foraggiarle con finanziamenti “amici”. In tandem con Diana viaggia il Fondo innovazione, che ha in pancia un miliardo di euro. La Nato punta a sviluppare nuovi strumenti per gli appalti militari e a reclutare innovazioni dal mondo civile, che possano trovare terreno fertile nell’industria bellica.
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L’elenco delle startup
Il risultato della prima operazione di reclutamento sono 44 società che saliranno a bordo di Diana. Più delle 30 inizialmente previste, spiega il direttore generale Deep Chana, per la qualità delle proposte arrivate. In prospettiva, entro il 2025, Diana conta di lanciare una decina di call all’anno e coinvolgere un centinaio di società. Le imprese saranno coinvolte in un programma di crescita attraverso una rete di undici acceleratori e oltre novanta centri di test nei Paesi dell’Alleanza atlantica. E otterranno un assegno da 100mila euro per i primi sei mesi di incubazione. Se al termine di questo periodo, Diana rinnova il sostegno, la Nato staccherà altri 300mila euro.
Le startup in ambito energetico sono Goldilock Secure Limited, McGuire Aero Propulsion Solutions, Zepher Flight Laboratories, Ionate Limited, Ore Energy, Zelestium Technologies, Spacelis, AquaGen blue, IceWind, GaltTec, Kitepower, Texavie e l’italiana Wpe Research & Development, che sviluppa micro-turbine eoliche. Nel settore della sorveglianza entrano in Diana Ping Dsp, Lobster Robotics, Skarv Technologies, Owl Integrations, DotOcean, HGPartners, Dolphin Labs Ocean, aRoboticsCompany, Grayscale AI, Marine Thinking, Elwave, Water Linked, Aquark Technologies, Sotiria Technology e Phantom Photonics. Infine nell’ambito della cybersicurezza si contano Astrolight, Gim Robotics, VanWyn, Ephos, Anzen Technology Systems, Hushmesh, AVoptics Limited, Revobeam Secqai, Vistareader, Qubitrium, Neuromorphica, Dronetag, QuadSat, G2-Zero e l’italiana LevelQuantum, che sviluppa soluzione di sicurezza per le telecomunicazioni su base quantistica.
La scelta dei settori mostra, in controluce, l’urgenza numero uno per l’Alleanza atlantica: il fronte ucraino. L’invasione della Russia ha provocato conseguenze sulla stabilità del settore dell’energia, così come un’impennata di attacchi informatici e una serie di crolli delle infrastrutture di comunicazione in Ucraina. La scelta non è andata soltanto a tecnologia impiegabili direttamente in scenari di guerra ma, per esempio, tra le startup dell’energia vi sono proposte per l’accumulo con batterie più robuste e semplici di muovere, utili anche per truppe esposte in un teatro bellico. Diana sta ancora definendo le priorità dell’anno prossimo, ma Chana anticipa che i settori sotto osservazione per il programma sono “l’aumento delle performance degli esseri umani e la riabilitazione, la ricerca dei nuovi materiali e tecnologie per lo spazio”.
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Il programma
Annunciato a giugno 2021, con l’obiettivo di recuperare terreno nel campo dell’innovazione in ambito bellico, Diana ha mosso i primi passi due anni dopo. Sede a Londra e a Halifax, in Canada, l’acceleratore ha uno staff diretto di 30 persone, che entro il 2025 dovrebbe arrivare a 80, e un budget è di 50 milioni di euro all’anno, che serve per coprire le spese di funzionamento dell’acceleratore e in parte sostenere le startup. Al momento è aperta una ricerca per figure per gestire le sfide e una per mentori e consulenti per seguire le startup. In Italia Diana si appoggia all’acceleratore delle Ogr (Officine grandi riparazioni) di Torino, che con Plug and Play si sono specializzate nell’ambito dell’aerospazio, e ai centri di test di La Spezia e a Capua, che coprono tecnologie in ambito marittimo, aeronautico, big data e nuovi materiali.
In parallelo la Nato ha istituito un Fondo innovazione, “il primo fondo di venture capital sovrano multinazionale”, come lo ha definito a Wired il vicesegretario dell’Alleanza, Mircea Geoană. Al timone c’è il presidente Klaus Hommels, fondatore e numero uno del fondo di investimenti svizzero Lakestar, mentre nel consiglio dei direttori figurano finora Fiona Murray, preside associata con delega all’innovazione e all’inclusione della scuola di management del Massachusetts institute of technology (Mit), e l’ex ministro della Transizione ecologica e fondatore dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit), Roberto Cingolani. La cui nomina al vertice del campione italiano della Difesa, Leonardo, avvenuta successivamente all’indicazione nel consiglio del fondo, non costituisce per la Nato un impedimento.