(A.L.)Il clima politico e sociale degli anni Settanta passerà alla storia come il terribile decennio del terrorismo. Esso fu segnato da uno stillicidio di attentati, omicidi, ferimenti, incendi e aggressioni.
Come dimenticare le stragi: da quella di Piazza Fontana a quella di Piazza della Loggia, da quella del treno Italicus a quella di Via Fani, ai processi “infiniti” di Catanzaro, Brescia, Torino?Questo breve accenno solo per inquadrare il periodo storico nel quale fu affrontata in sede parlamentare la riforma dei servizi segreti, sulla base degli studi e delle proposte della “Commissione speciale per l’istituzione e l’ordinamento del Servizio per le informazioni e la sicurezza”, la quale aveva svolto i suoi lavori – a metà degli anni Settanta – tra accese polemiche, difficoltà e contrasti, interni ed esterni. Era opinione diffusa che la soluzione di molti problemi fosse nella scelta di un servizio unico; ma all’atto della decisione fu determinata la duplicità dei servizi (SISMi e SISDe) e la creazione di un organo di coordinamento (CESIS).Per effetto della Legge 801 approvata il 24 ottobre 1977, pubblicata sulla G.U. n° 303 del 7 novembre successivo (denominata “Istituzione e ordinamento dei Servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato”), il Governo provvide a nominare, il 13 gennaio 1978, il primo Segretario Generale del CESIS nella persona del dott. Gaetano Napoletano, Prefetto di Roma, e i Direttori dei due Servizi: il Generale Giuseppe Santovito per il SISMi e il Generale Giulio Grassini per il SISDe.Le nomine avvennero in un momento di “escalation” del terrore con attentati e “gambizzazioni” di uomini politici e dirigenti industriali in molte città italiane, che fecero temere una grave caduta sociale senza possibilità di ripresa.Nell’opinione pubblica diffuse furono le speranze che i nuovi organismi e i loro dirigenti potessero dare un notevole contributo al recupero di una situazione che appariva ogni giorno sempre più drammatica. Molti giornali dettero la notizia delle nomine in prima pagina con ampi commenti. Il Prefetto Napoletano nelle interviste affermò che occorreva dare priorità alla lotta contro il terrorismo, che rappresentava, in quel momento storico, il principale nemico da combattere perché “certamente esso si serve di mezzi moderni, notevoli fondi e organizzazioni perfette. È quindi importante sviluppare e migliorare le possibilità di prevenzione dei servizi di sicurezza e la capacità investigativa. La gente ha perso la fiducia negli organi dello Stato, e lo scopo primario dei servizi di sicurezza è quello di restituirgliela, riuscendo a combattere ogni forma di criminalità, politica e comune. Oggi basta camminare per le nostre città dopo le nove di sera per vedere quanto profondamente la paura di brutti incontri ha mutato le abitudini degli italiani. La criminalità, anche quella che compie rapine e sequestri, è un campo nel quale non può agire solo la polizia giudiziaria. Con essa debbono collaborare gli altri organismi che possono farlo. Bisogna restituire all’opinione pubblica la fiducia nella legge e in chi la deve servire”.Napoletano, nato a Napoli nel 1915, era molto stimato sia per le capacità professionali che per la profonda cultura giuridica ed umanistica. Discendeva da una famiglia di giuristi. Procuratore legale e avvocato egli stesso, nel ’40 era entrato nella carriera pubblica; aveva partecipato poi alle operazioni della seconda guerra mondiale come Tenente di Fanteria e dopo l’8 settembre ’43 era rientrato nell’Amministrazione dell’Interno come commissario prefettizio, contribuendo alla ricostruzione di Cassino e di Pontecorvo. Giunto ai vertici era stato Dirigente Generale presso il Ministero e, quindi, Prefetto di Trapani (ove si distinse nella direzione dei soccorsi alle popolazioni dopo il terremoto del Belice), di Latina e di Roma.Il Prefetto Napoletano avrebbe voluto subito ed energicamente interpretare il suo ruolo primario; ma doveva prima organizzarsi, reperire una sede, ottenere i suoi primi collaboratori. In realtà gli mancò “la sedia per sedersi”. Quasi altrettanto accadde al Gen. Grassini che però trovò subito ospitalità al Viminale; mentre il Gen. Santovito potette fruire immediatamente delle strutture, dei mezzi e del personale del vecchio SID.Il Segretario del CESIS, comunque, tentò di avviare l’organizzazione dei Servizi cercando collaborazioni e intese. Le cose, anche per le tensioni del momento, non andarono così. Il Prefetto intendeva assolvere il ruolo di effettivo Capo dell’intera Organizzazione, dipendente – secondo la legge – dal Presidente del Consiglio dei Ministri. I Generali Santovito e Grassini ritenevano, invece, di dover gestire autonomamente i Servizi loro affidati nell’ambito della dipendenza diretta rispettivamente dal Ministro della Difesa e dal Ministro dell’Interno. Napoletano, come riportò la stampa, considerò “troppo limitati i suoi poteri” (L’Unità, 4 maggio 1978).In definitiva l’avvio dei Servizi cosiddetti riformati non fu chiaro, anche nell’attribuzione delle competenze a ciascuno di essi.Dopo vani tentativi di fare chiarezza, il Prefetto Napoletano rassegnò le dimissioni e in data 21 aprile 1978 tornò a svolgere le funzioni di Prefetto della Capitale (morì il 25 gennaio dell’anno seguente). Al suo posto, come Segretario Generale del CESIS, fu nominato il Prefetto Walter Pelosi, proveniente da Venezia, definito da alcuni organi di stampa “ambizioso ma accorto” e ritenuto capace di “far partire la complicata macchina dei Servizi Segreti, finora inceppata da varie difficoltà di ordine tecnico, pratico e anche politico” (La Nazione, 4 maggio 1978). Con i suoi collaboratori diretti andò a occupare un fabbricato in via della Stamperia, da restaurare.Nel frattempo, il Generale Grassini, previo assenso del Ministro dell’Interno Francesco Cossiga, aveva preso contatto con i Vertici della Direzione Generale della P.S., dell’Arma dei Carabinieri e del SISMi per ottenere le prime assegnazioni di personale e mezzi, costituire i primi nuclei organizzativi e reperire una sede per la Direzione.Dal Ministro ottenne la destinazione del Questore Silvano Russomanno, Vice Capo del soppresso Ufficio Affari Riservati (esperto di relazioni internazionali e forbito poliglotta, destinato a ricoprire le funzioni di Vice Direttore del Servizio), nonché di alcuni funzionari, di una decina di sottufficiali e guardie e la disponibilità di alcune stanze al terzo piano, con scrivanie e telefoni, del Palazzo del Viminale.Il Comando Generale dei Carabinieri gli destinò qualche ufficiale e un esiguo numero di militari dipendenti. Dal SISMi ottenne, invece, l’assegnazione di una parte del personale addetto all’ufficio “D”: una decina di elementi di vario grado, tutti dei Carabinieri. Ne facevano parte cinque ufficiali, dei quali tre T. Colonnelli.Non fu semplice, né facile, per il Gen. Grassini ottenere quelle prime adesioni. Occorre ricordare che – ai sensi della legge 801 – ogni elemento, anche se prescelto, deve sottoscrivere una dichiarazione di gradimento. Egli, pertanto, ebbe necessità di contattare il personale nelle diverse sedi, di spiegare i compiti, le prospettive di carriera, il trattamento economico che esso avrebbe avuto nel nuovo Servizio.In quei mesi, tra la fine del 1977 e l’inizio del 1978, erano continuati gli attentati, gli assalti, i ferimenti di politici e dirigenti nonché gli scontri tra opposte fazioni a Milano, Torino, Genova, Roma e in molte altre città. Tra essi le uccisioni di Angelo Pistolesi (28 dic. ‘77 – Roma), Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni (7 gen. ‘78 – Roma), Riccardo Palma, magistrato (14 feb. ‘78 – Roma), Franco Battaglin (21 feb. ‘78 – Venezia) e Rosario Berardi, maresciallo PS (10 mar. ‘78 – Torino).Subito dopo, il 16 marzo 1978, si verificò nella Capitale quell’evento che sconvolse gli italiani e fece scalpore nel mondo intero: il sequestro del Presidente della D.C. Aldo Moro e l’annientamento, a colpi di mitra e di pistola, di cinque uomini di scorta, carabinieri e poliziotti. Un colpo tremendo a tutte le strutture dello Stato, in un momento in cui i Servizi Segreti erano pressoché inesistenti o comunque travagliati dalla riforma e dalla riorganizzazione.Il Generale Grassini chiamò attorno a sé, nella sede del Viminale, quello sparuto gruppo di collaboratori che era riuscito a racimolare e organizzò una prima sala “operativa” che potesse raccogliere e smistare le informazioni, tra i vari organi di polizia e di Governo. Si dovette avvalere ovviamente dei rapporti ufficiali poiché ancora non aveva costituito alcun centro operativo o avviato contatti con fonti “coperte”. A iniziare dallo stesso giorno del rapimento dell’On. Moro egli partecipò alle riunioni fiume di un gruppo ristretto per la gestione della crisi presso il Viminale, del quale facevano parte i Ministri dell’Interno e della Difesa, i Capi dei servizi e dei Corpi di Polizia.La ricerca di strategie operative e politiche, di informazioni, di contatti, di valutazioni dei rischi delle varie iniziative proposte fu affannosa. Comunque, nell’ambito delle collaborazioni tra i vari organi dello Stato fu ben chiaro che il nucleo costitutivo del SISDe dovesse collaborare col SISMi e appoggiarsi ad esso, anche nell’organizzazione periferica. Infatti, successivamente i primi agenti operativi del cosiddetto Servizio civile furono destinati ad operare nell’ambito dei Centri C.S. dell’organismo militare.Al gruppo di gestione di crisi presso il Viminale furono chiamati anche esperti di terrorismo italiani e stranieri e studiosi. Tra questi il Prof. Franco Ferracuti, titolare della cattedra di criminologia dell’Università “La Sapienza” di Roma e alcuni suoi giovani assistenti, che poi sarebbero passati nelle strutture del SISDe.Grassini e i suoi uomini, pure in condizione di disagio, si dettero molto da fare e si fecero apprezzare per l’impegno e la capacità di improvvisare le migliori risposte alle straordinarie richieste del momento.Il nuovo Direttore del SISDe, è bene ricordarlo, era Generale di Brigata dei Carabinieri e proveniva dall’Arma territoriale. Aveva una forte tempra di militare ed esplicava una energica azione di comando, pervasa però da profonda umanità. Discendeva da una famiglia di militari e di gentiluomini. Anche il padre era Generale dei Carabinieri (a quel tempo ormai in pensione), il quale aveva lasciato un ottimo ricordo di sé e grande considerazione tra i militari dell’Arma. Era stato autore di alcune pubblicazioni professionali, tra le quali un apprezzatissimo manuale per i comandanti di Stazione che aveva rappresentato il breviario di tutti i sottufficiali, per varie generazioni.Giulio Grassini, quindi, era “figlio d’arte” e aveva saputo seguire con perseveranza e orgoglio le orme paterne. Distintosi durante l’ultima guerra mondiale, come attestano due Croci di Guerra delle quali era stato insignito, aveva partecipato al movimento di liberazione nel fronte clandestino di resistenza, con incarichi di alta responsabilità. In anni più recenti aveva ricoperto importanti ruoli di comando nell’Arma. Per ultimi quelli di Comandante del Gruppo di Cagliari (1964-66), distinguendosi nella lotta al brigantaggio sardo, della Legione di Bolzano (1966-71) conseguendo, attraverso la direzione di un reparto speciale antiterrorismo, “l’individuazione e l’eliminazione di tutti i gruppi eversivi nella zona altoatesina”( così recita un encomio), e della Brigata di Padova (1976-77) emergendo nell’attività di contrasto alla criminalità eversiva e nella organizzazione delle operazioni di soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto del Friuli. Oltre agli encomi dei Superiori gli fu conferito un attestato di benemerenza del Commissario Straordinario del Governo e la cittadinanza onoraria di Tremonti di Sopra e di altri comuni delle provincie di Udine e Pordenone, paesi maggiormente colpiti dal sisma e dove più capillare era stata l’azione di soccorso alle popolazioni.Nell’organizzare il SISDe, quindi, egli cercò di dare alla struttura una forte caratterizzazione militare e di trasfondervi le sue esperienze e quelle degli ufficiali e funzionari che lo seguirono e gli offrirono collaborazione. Il Generale era pienamente consapevole del grave e rischioso compito che gli era stato attribuito dal Governo.Lo dimostra il significativo messaggio da lui diramato il 22 maggio 1978, il giorno in cui, secondo la legge istitutiva, doveva appunto essere avviata l’attività operativa del SISDe. Grassini e i suoi uomini si erano trasferiti, in buona parte, in un appartamento al terzo piano del palazzo della Direzione Generale A.A.I. (Assistenza e Aiuti internazionali, già Azienda autonoma) del Ministero dell’Interno in Via Lanza.Interessante il testo del messaggio:”Alla fine del 1966 venne istituito, in Bolzano, per combattere il fenomeno del terrorismo che in Alto Adige e nel Trentino aveva assunto aspetti d’estrema gravità, un Reparto Speciale, composto da Carabinieri, Alpini, Paracadutisti, Guardie di Pubblica Sicurezza e Guardie di Finanza.Questo Reparto – dipendente per l’impiego dalla Legione Carabinieri di Bolzano e, per il tramite di questa, dal IV Corpo d’Armata Alpino – ricevette uno speciale addestramento, si distinse ben presto per un proprio particolare spirito di corpo, comune a tutti i suoi componenti, nonostante la diversità delle armi e dei reparti di appartenenza, ed ebbe parte determinante nelle operazioni che condussero al ristabilimento dell’ordine nella zona.Esso contò anche, nelle sue file, tre Eroi: il Capitano dei Carabinieri Francesco Gentile, Medaglia d’Oro al V.M. alla Memoria, il S.Ten. dei Paracadutisti Mario Di Lecce, Medaglia d’Argento al V.M. alla Memoria e il Serg. Magg. Olivo Dordi, Medaglia d’Argento al V.M., alla Memoria, caduti a Cima Vallona (BL) il 25 giugno 1967, sui confini e per i confini della Patria.Nel momento in cui inizia la sua attività il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica – composto da personale proveniente dall’Arma dei Carabinieri, da altre Armi dell’Esercito, dal Corpo delle Guardie di P.S., dal Corpo delle Guardie di Finanza e da varie amministrazioni civili – esprimo l’auspicio che tutti gli appartenenti al Servizio vorranno richiamarsi, nel quotidiano lavoro, allo SPIRITO DI CORPO che animò il Reparto Speciale Alto Adige ed ispirarsi all’esempio dei suoi Eroici Caduti, per perseguire, con fedeltà ed onore, il nobile scopo della difesa delle istituzioni democratiche, affidato al SISDe dal Parlamento della Repubblica.Roma, 22 maggio 1978IL DIRETTOREGen. Giulio GrassiniNel frattempo, proprio mentre avveniva il trasferimento degli uomini del SISDe dal Viminale a Via Lanza, il terrorismo aveva continuato a seminare paura e morti: il 9 maggio, nel portabagagli di una autovettura “R-4” abbandonata in Via Caetani era stato trovato il cadavere di Aldo Moro (il giorno successivo con un gesto che venne da tutti sottolineato per l’alto valore etico, il Senatore Francesco Cossiga si era dimesso dall’incarico di Ministro dell’Interno), e durante lo stesso mese di maggio molti erano stati gli attentati e i ferimenti a colpi di arma da fuoco di manager industriali e appartenenti alle forze di polizia. Infatti vari nuclei terroristi uccisero e ferirono i loro “avversari” in varie città del Nord. Il Governo sollecitò i Capi dei Servizi a completare la loro organizzazione. Il SISDe, sull’organico fissato in millecinquecento persone, aveva raggiunto una forza di circa cinquecento unità. Di questa il 66% proveniva dall’Arma, il 22% dalla Polizia e la rimanente percentuale dalla Guardia di Finanza, da altre Amministrazioni dello Stato e dai primi civili che furono assunti.L’onere del lavoro svolto da questi pionieri del Servizio segreto civile fu veramente improbo e tanti furono i sacrifici e i rischi che essi dovettero affrontare.Non mancarono loro anche le preoccupazioni e le tensioni per le segnalazioni di attentati alla struttura e ai singoli. Molti funzionari e agenti uscivano dall’ufficio o da casa con la pistola in pugno infilata nella tasca, pronti a reagire, nel tentativo o forse nell’illusione di poter precedere eventuali attentatori, nella logica dei terroristi che privilegiavano obiettivi facili, cioè a minor rischio (come alcuni pentiti confessarono). Salvo, poi, ad attuare azioni di guerriglia a dimostrazione del livello di organizzazioni paramilitari e di alta capacità offensiva. La sorpresa ovvero il vile agguato, soprattutto, era la loro arma vincente.I Servizi studiarono anche la mimetizzazione delle armi in borselli, borse e valigette, azionate con un pulsante, l’adozione di giubbetti antiproiettile super leggeri, il camuffamento e il travestimento (barbe finte o barbe incolte, capelli lunghi e occhiali scuri) e ogni altra misura atta alla protezione e alla difesa. In definitiva fantasia e tecnica caratterizzarono quei primi agenti segreti per fare fronte alle straordinarie esigenze del momento.Tra gli obiettivi prescelti dalle Brigate rosse vi fu innanzitutto il Generale Grassini. Il primo allarme fu dato dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato dal Governo, il 10 agosto 1978, Coordinatore dei servizi di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena. Questi, nell’ottobre dello stesso anno, dette notizia al collega Grassini che elementi eversivi avevano effettuato un sopralluogo a Cetona (Siena), ove il Direttore del SISDe si recava periodicamente per il week-end o per trascorrervi brevi periodi di vacanza, al fine di individuare la casa e i suoi movimenti. Particolare curioso: da tutt’altra fonte, nello stesso mese, il Generale Grassini fu informato che dall’estero un “medium” lo aveva “visto” circondato da molto sangue e da ciò aveva dedotto che la persona era in grave pericolo. Conseguentemente le misure di sicurezza intorno al Generale e alle sedi da lui frequentate aumentarono. Lo stesso interessato decise di far attrezzare una stanzetta accanto al suo ufficio, in Via Lanza, nella quale poter riposare e fare una doccia. Ridusse pertanto le sue uscite dalla sede. La conferma del rischio di attentato, realmente corso dal generale Grassini, si ebbe negli anni successivi, a seguito delle confessioni di alcuni terroristi delle BR. (Il Giornale d’Italia, l’Avanti, Corriere della Sera e altri quotidiani del 25 gennaio 1985).Gli organismi di informazione e le forze di polizia accelerarono il loro processo di riorganizzazione e di pieno recupero dell’efficienza operativa per combattere la minaccia eversiva. I primi risultati si registrarono con la localizzazione e l’arresto in un appartamento di Milano di Corrado Alunni e la scoperta di vari covi. Si aprì una breccia nella struttura delle BR e degli altri movimenti eversivi che avrebbe portato lentamente alla loro disarticolazione, negli anni successivi.La strada da percorrere, comunque, fu lunga, accidentata e disseminata di cadaveri e di attentati alle caserme, di assalti e tentativi di stragi, di incidenti e stratagemmi per azioni cruente.Nel corso di questa lotta, il SISDe incontrò difficoltà a completare gli organici, soprattutto dei Centri operativi che andava istituendo faticosamente nei capoluoghi di regione. “Pochi, all’inizio, volevano lavorarvi; – scrisse su Panorama dell’8 maggio 1979 Marilena Bussoletti – proprio per incoraggiare poliziotti e carabinieri in gamba ad entrare nel nuovo servizio segreto, al SISDe sono stati fissati stipendi più alti che al SISMi. Le differenze vengono da indennità di servizio (grado di rischio, stato di disagio, rendimento individuale) assegnate secondo criteri poco rigidi e quindi in modo soggettivo (non mancano, per questo, risentimenti e piccole invidie) … nelle note spese possono largheggiare (bar, pranzi, cene: tutto rimborsato), per la casa vengono aiutati. Ma buoni stipendi, trattamento di favore e mezzi a disposizione non bastano: i ruoli del SISDe sono ancora incompleti”.Nonostante tutto ciò, il Generale Grassini era soddisfatto di come procedevano le cose e soprattutto dei risultasti operativi conseguiti anche in collaborazione con il SISMi. Di particolare risonanza fu una brillante operazione di controspionaggio condotta nel maggio 1979 che portò Grassini a manifestazioni di ottimismo: “Ci sono squarci di azzurro rispetto al grigiore dei mesi scorsi”. La sua soddisfazione durò poco: nei primi mesi del 1980 fu arrestato il Vice Direttore Russomanno accusato di essere responsabile del “passaggio” di una copia del verbale d’interrogatorio del terrorista Patrizio Peci al giornalista Fabio Isman che ne aveva dato ampia divulgazione su “Il Messaggero”. Esplose uno scandalo, riaprendo interrogativi e polemiche sulla affidabilità dei Servizi Segreti. Si parlò di vendita dei verbali, di trappola tesa a Russomanno, di sabotaggio dell’istruttoria processuale. Furono formulate le più svariate ipotesi e le più cattive insinuazioni. Dopo un momento di stretto riserbo da parte dello stesso imputato, legato anche alla necessità del segreto imposto sulle operazioni del Servizio, Russomanno si decise a presentare un memoriale alla Magistratura nel quale affermava che i verbali erano usciti dagli uffici del SISDe in base a un suo piano finalizzato a produrre effetti sulla resa e sulla rinuncia alla lotta armata. Si era trattato, quindi, di un’audace azione di intelligence. Non fu la prima, non sarebbe stata l’ultima.Nelle more del processo, comunque, Russomanno si dimise dall’incarico di Vice Direttore. Al suo posto fu nominato, il 27 aprile dello stesso anno, il Questore Vincenzo Parisi, nato a Matera nel 1930, funzionario preceduto da un ottima fama per le sue iniziative nel campo delle riforme, della riorganizzazione e istituzione di importanti uffici in ambito ministeriale, soprattutto in materia di armi, esplosivi, archivi e stranieri. La sua straordinaria cultura, la sua umanità e le sue capacità diplomatiche e di mediazione ne caratterizzarono subito l’operato, favorendo la sua rapida affermazione nel Servizio.Il 2 agosto si verificò la strage alla stazione di Bologna, che sollevò nuovi sospetti e accuse nei confronti dei Servizi Segreti e sul ruolo svolto da alcuni appartenenti ad essi. Nel mese successivo a fomentare critiche e illazioni si verificò la scomparsa di due giornalisti italiani a Beirut. Alcuni agenti dei Servizi ricevettero comunicazioni giudiziarie per presunte reticenze e false testimonianze. Quasi contestualmente l’Ammiraglio Casardi, già Capo del SID dal 1974 al 1977, fu sottoposto a indagine giudiziaria, unitamente ad altri ufficiali di alto rango per presunte responsabilità pregresse.Non si era ancora sopito l’effetto di questi scandali che verso la fine dell’anno filtrarono negli ambienti politici e istituzionali le prime insinuazioni sull’appartenenza alla massoneria del generale Grassini. Fu l’inizio dello scandalo della loggia deviata “P2”.I Servizi e i loro capi, attraverso uno stillicidio di indiscrezioni pubblicate dai mass media, finirono con l’esservi coinvolti. Negli ultimi mesi del 1980 da ogni parte, all’interno e all’esterno dei servizi, si vociferò che Pelosi, Santovito e Grassini sarebbero stati sostituiti nei loro incarichi.Il generale Grassini non frappose indugi. Nel mese di dicembre 1980 chiese formalmente al Presidente del Consiglio dei Ministri di rientrare nei ranghi dell’Arma, ritenendo completata l’opera svolta per l’avvio del Servizio. Fu invitato a rimanere. La Presidenza promosse un’inchiesta, in via amministrativa, che si concluse con l’esclusione di qualsiasi responsabilità e prova a carico dell’Ufficiale. Le polemiche riportate insistentemente dalla stampa indussero comunque il Governo a sostituire i vertici dei tre organismi: SISDe, SISMi e CESIS.Il 19 luglio nel suo commosso saluto al personale, il generale Grassini affermò, tra l’altro:”… tre anni di permanenza in un incarico di questo tipo sono già davvero troppi, per le insidie, di tutti i generi, che cospargono il cammino da percorrere.”In effetti, quando presi possesso della carica sapevo bene che al Capo di un Servizio di Sicurezza possono accadere molte cose: essere eliminato fisicamente; essere sequestrato; finire in qualche aula giudiziaria; non trovare punti sicuri di riferimento e di appoggio in occasione di incidenti del mestiere o di vicissitudini comunque negative, anche se derivanti da comportamenti incolpevoli.”Ma francamente, – benché indurito (nel carattere, beninteso, non nei sentimenti!) dalla mia professione di Soldato, vissuta intensamente, attraverso le tappe della guerra, della resistenza, del banditismo in Sardegna, del terrorismo in Alto Adige e dell’ultima battaglia di questi tre anni – non avrei mai immaginato di essere coinvolto, senza avere nulla da rimproverarmi (e anche se debbo onestamente riconoscere che da nessuna parte mi sono stati mossi specifici addebiti personali), sulla sola base, per quanto mi riguarda, di liste e documenti di un privato cittadino, facili a costruirsi e a manipolarsi, in una intensa campagna scandalistica, dalla quale – anche per il disimpegno di taluno di coloro che, a mio avviso, avrebbero dovuto sentire il dovere di assumere iniziative di chiarificazione e di tutela – non è esistita per lungo tempo una concreta possibilità di difendersi, né di precisare, anche se ne esistevano tutti i presupposti, la propria posizione.”Mi ha turbato inoltre profondamente la constatazione che, sempre nell’ambito di detta campagna, si è altresì tentato – benché qui siano intervenute autorevoli smentite – di gettare pesanti e inaccettabili ombre anche sui nuovi Servizi di Sicurezza, che onestamente e limpidamente operano al servizio delle Istituzioni repubblicane.”Ho, d’altra parte, la serena coscienza di aver costituito, in tre anni – con la collaborazione generosa e validissima di tutti voi – partendo da condizioni iniziali quasi disperate, un Servizio omogeneo moderno, efficiente che ha già raggiunto risultati operativi di primo piano (pur se questi ovviamente non possono essere citati) e che certamente continuerà a essere validissimo strumento di difesa delle Istituzioni democratiche, specie se potrà lavorare in condizioni ambientali meno avvelenate e con l’appoggio di una opinione pubblica non artificiosamente prevenuta.”Lascio quindi l’incarico a testa alta, e rientro nei ranghi dell’Arma, dai quali uscii, non per mio volere, oltre tre anni fa, per continuare a servire la Patria con lo stesso spirito e medesimi sentimenti (anche se con minori illusioni) che mi hanno animato nei quarantadue anni della mia vita militare.”A tutti voi – e soprattutto (non se ne dolgano gli altri che pur hanno dato un concorso prezioso al potenziamento dell’organizzazione) alla pattuglia sparuta ma eccezionale dei miei primi collaboratori, che provenendo da amministrazioni quanto mai diverse, ebbero il coraggio di entrare e di credere in un organismo che era tutto da fare e da “inventare”, e che mi offrirono un apporto di fiducia, di idee e di lavoro che non potrò mai dimenticare – il mio grazie più caloroso per avermi seguito lealmente e generosamente in questi anni e per essermi stati vicino col cuore, sempre, anche nel corso dell’ultima, amara vicenda.”Ciò testimonia che la cosa alla quale ho tenuto di più fin dal primo momento si è pienamente realizzata: il Servizio ha un proprio, saldissimo spirito di corpo e la fusione che si è realizzata fra le varie componenti (militare, civile, tecnica) è perfetta.”Infine, dal vostro primo Direttore che vi lascia con grande rimpianto anche perché il rapporto umano che mi legava a tutti voi era davvero eccezionale, un affettuoso e duplice augurio: che voi possiate, cioè, ritrarre dal vostro lavoro – nonostante i rischi, le difficoltà e talvolta, purtroppo, le delusioni che lo caratterizzano – tutte le soddisfazioni che ampiamente meritate; che la vostra azione divenga sempre più fertile e incisiva sì da assolvere in pieno alla nobile funzione che la legge ci ha assegnato: la tutela e la difesa delle Istituzioni democratiche.”Spero che ci rivedremo ancora, in avvenire, anche se nell’ambito di diverse funzioni, e a tutti di cuore con tanto affetto, ogni più fervido augurio per l’avvenire e buona fortuna!”Al Vice Direttore – che mi ha offerto, sempre, un ausilio intelligente, leale e ineguagliabile – la mia incondizionata riconoscenza.”Al mio successore, Prefetto Emanuele De Francesco, un sincero, cordiale augurio di ogni migliore successo.”
Fonte gnosis.aso.gov.it