Di Al. Tallarita
Nella mia attività di analisi antropologico criminologica, partendo dalle sollecitazioni teoriche di Foucault, ho analizzato mel periodo del covid-19, la situazione carceraria italiana.
Di certo nella criticabile gestione dell’emergenza carceraria, all’indomani delle proteste scaturite con la crisi covid-19, si è assistito a una messa in crisi del concetto di autorità.
Questo perché, dal Governo ci si è accinti a prendere dei provvedimenti non idonei, né per quanto sia accaduto, per la sua gravità, ne verso quello che è stato lo svolgimento regolarmentare di contenimento delle rivolte.
E non entro in polemica con le scarcerazioni ‘da-virus’. Su cui ci vorrà una trattazione più ampia. Provvedimenti, malpensati e mal gestiti, anche nella forma e che hanno causato ulteriori attacchi, aggressioni e pestaggi contro il personale penitenziario.
Anziché punire e basta gli scellerati che hanno distrutto, messo a fuoco, ucciso, pestato.. che sono evasi e poi riportati all’ordine con fatica e in vari giorni.
Approfittando del ‘caos-virus’.
Di una situazione di crisi che è costante e che segna, ogni giorno, nuove situazioni molto critiche, in diverse carceri italiane.
Nonostante il difficilissimo momento, si è visto bene, di procedere ad un ordine governativo, col Ministro Bonafede in testa, anziché farsi sane domande su quanto bisogna fare, per affrontare seriamente questa gravissima situazione e quali e quanti provvedimenti vadano presi. Come le maggiori garanzie, tutele e mezzi concessi alla polizia penitenziaria.
La promozione della costruzione di nuove carceri, la rimessa in discussione degli accordi bilaterali, data la massiccia presenza di immigrati che finiscono in carcere e anche dei concorsi per nuove assunzioni, sbloccando situazioni pregresse, affinché si raggiunga quell’equilibrio necessario, tra il numero dei detenuti e quello agli agenti a cui sono assegnati.
Far decadere l’autorità acquisita in base alla legge, che la sancisce e la determina, con accuse davvero inconcepibili, come quelle di ‘torturatori’ e farlo inoltre, dinnanzi alle famiglie dei detenuti.. È un gravissimo attacco al concetto di autorità.
Un grave errore comunicativo.
Oltre che sostanziale.
Da parte di chi ha preso i provvedimenti, contro questi agenti penitenziari, che si sono limitati a fare il loro dovere.
All’ interno di un ambiente, quello carcerario, che paga le pene di un’Unione Europea che non appare molto lucida in temi di sicurezza.
Tanto nazionali, quanto internazionale, si pensi al problema terroristico, che affligge tutta l’Europa, di cui cambiano si le modalità, ma gli attacchi si ripresentano.
Affianco alla sicurezza nazionale di ogni singolo stato e particolarmente italiano, minato dai ripresi sbarchi dei soliti viaggi della non-speranza, del terrore e della morte. Che arricchiscono schiavisti e scafisti, in accordo con le mafie dei paesi di partenza e di arrivo, entro un disegno di ‘sostituzione’ che appare alquanto palese seppur silenzioso.
Con la connivenza di chi da tutto questo sa quanto e come guadagnarci. Alle spalle di popoli sempre più impoveriti, confusi e imbavagliati…
Ma vediamo cos’è l’autorità, che può entrare in crisi o può non esser più riconosciuta o se, come nel caso italiano, viene volutamente screditata..
O non protetta nella sua funzione. Quella imposta dalla legge è un’autorità ‘razionale’, che deriva da un potere imposto. Si basa solitamente sulla paura, sul timore, è coercitiva ed esercitata da un’entità preposta.
L’autorità è attribuzione di uno status.
Una posizione di superiorità concessa ad una persona, per competenze o per il ruolo che ricopre e viene rappresentata a livello semiotico dalla divisa indossata. L’autorità si può garantire con la coercizione, la seduzione.
Si assiste sempre, a una forma di indipendenza, di comportamento stabilito tra chi esercita l’autorità e chi la deve accettare. Obbedire a un’autorità risulta un elemento che costituisce la struttura sociale.
Ha delle caratteristiche etiche che dipendono dal contesto, in cui si esercita l’autorità. Questa è dipendente dalla ‘relatività’ se è momentanea, oltre che dal contesto sociale.
Oppure dalla ‘relazione’ se è costante nei confronti di qualcuno. Risulta da una negoziazione, che ne determina i rapporti tra le parti in causa.
Se derivata da competenze e capacità, non è determinata da un rapporto di forza e timore. Ma avere delle regole è fondamentale e di supporto per la libertà individuale.
Le norme, le condizioni, possono modificare il senso morale delle persone.
L’obbedienza costruttiva crea l’armonia sociale, portando in sè consapevolezza e assunzione di responsabilità.
Quella distruttiva non pensa a lavorare in
nome dell’etica, né pensa alle conseguenze delle proprie
azioni. Non pensa allo sfondo morale dei propri ordini.
Il concetto di obbedienza si accompagna a quello di
disobbedienza e se costruttivo, promuove il cambiamento
della società.
Norme culturali, caratteristiche psicologiche influenzato le reazioni all’obbedienza, e la risposta all’autorità.
Il potere della situazione, può condurre la persona, a compiere atti che non pensa di poter compiere.
Così come le norme culturali le caratteristiche psicologiche, sono tutte situazioni che possono portare gli individui a eseguire comandi morali.
La tensione emotiva è il sintomo della debolezza dell’autorità.
La disobbedienza avviene quando questa tensione è insostenibile e l’autorità non ha una strategia per
risolverla. In tal senso deriva dal bisogno di preservare la propria integrità psico-emotiva.
Più che da una scelta morale consapevole.
Spesso i soggetti disobbedienti,
dimostrano empatia e principi di giustizia, così come rispetto nei confronti dell’autorità.
Non hanno reazione di ribellione, ma riconoscono le richieste (per obbedire)
come sbagliate. E si oppongono facendo un ragionamento.
In modo diverso rispetto a chi ha obbedito, a prescindere,
senza elaborare la situazione, né formulare giudizi etici.
Milgram, attraverso le sua teoria sperimentale, mostra come il soggetto tenda a disobbedire se è in conflitto con l’autorità. Nel caso del suo esperimento, la tensione ha portato al fallimento dell’autorità.
Così alla forma di ‘banalità del male’ si affianca ‘l’ordinarietà del bene’, che nell’esperimento di Milgram, fa si che il 65% dei soggetti, abbia portato a termine l’esperimento.
Mentre il 35% si sia rifiutato di infliggere ai possibili allievi (a conoscenza però dell’esperimento e collegati a falsi elettrodi) le ripetute scariche elettriche a 450 volts.
Qui ha considerato inoltre, la disobbedienza come strategia attuata per risolvere la tensione emotiva, generata dal soggetto che si trova a dover obbedire a un ordine che reca danno un’altra persona.